Mio padre viene da un altro mondo intriso di Far west emiliano e un po’ maremmano e come dice francesco Guccini “…un mondo che non esiste più, ed è aldilà della via Emilia dove iniziano i primi pendii boscosi…verso il Cimone”.
Ancora respira, è vivo, guarda il cielo e scruta con sguardo indagatore l’orizzonte, ancora cammina sebbene a fatica con un po’ di quell’ansimare che preoccupa su quelle strade e carreggiate che l’hanno visto bambino. Ancora sembra non si arrenda alla vita sebbene non ci sia più quasi nessuno del suo mondo con cui rinvangare i così detti vecchi tempi andati. Mi chiedo: “Cosa vedrà ora con quei suoi piccoli occhi verdognoli macchiettati di ocra chiaro??” Forse si vede ancora a torso nudo con un ciuffo di capelli rossi ramati ed il viso leggermente lentigginoso che con scioltezza delle membra muscolose falcia campi interi di erba spagna da dare alle due mucche che tengono nella stalla dietro la cucina. Poco distante da lui, c’è il fratello Leonida che falcia un altro appezzamento che dà verso il “piantè” e il fratello minore Giuseppe che gli sta portando da bere l’acqua fresca presa giù al lavatoio.
Ora è un uomo-bambino intriso di 96 soli che si sono alzati e passati sulla finestra del mondo. Si favoleggia che forse sia il più vecchio del comune di Guiglia, ma per certo non si sa… ma certo è l’unico che a quell’età ancora guidi e non è un caso che il suo nome venga anche da questa azione.
Ha lavorato la terra fin da piccolo, ha portato al pascolo mucche e capre fino all’età adulta, poi quando le membra e le gambe ed il busto allargato glielo anno permesso ha impastato la calce con forza e trasportato sassi e pietre e poi le ha impilate alternandole ai mattoni per erigere infiniti muri per fare nidi per la sua estesa famiglia. Ha raccolto quintali di frutta e mari ed oceani di duroni e ciliegie morette sulle colline che guardano le piane di Vignola. Lui è il settimo nato di undici, il primogenito dei maschi dopo ben sei femmine di fila. È rimasto a casa con i suoi vecchi a lavorare la terra quando tutti gli altri fratelli e sorelle sono partiti per cercare fortuna giù in città.
Il suo nome è Guido, il nome che aveva suo nonno e che non è stato più dato a nessuno tranne a lui.
Io a volte sogno la poesia del Pascoli, quella della Cavallina storna che fa “…oh cavallina storna che portavi colui che non ritorna…” E così ho paura che quando parte per fare la spesa, alla volta del Comune con la sua panda verde 4×4, che ha ormai anche lei quasi venticinque anni, rischi di non tornare a casa causa il fato contrario pilotato dagli dei. Per fortuna ancora non demorde e in paese ci vuole andare per vedere chi può trovare nel piazzale antistante la chiesa e sostare al bar e mettersi comodo in un angolino per leggersi in santa pace il giornale (la Gazzetta di Modena).
Quando era appena un ragazzo che aveva scavallato i fatidici diciott’anni ed aveva appena compiuto i diciannove, è stato preso in un rastrellamento dei tedeschi attorno alla metà di dicembre del ’44, assieme a molti della sua piccola frazione e del Comune. L’hanno visto le sentinelle tedesche da sopra il campanile di Rocchetta mentre lui risaliva su per la carreggiata a serpentina che da Confratta porta a Costa d’olmo e poi si apre nel terrazzino allo scoperto della Pioppa. Si era rifugiato momentaneamente dalla sorella maggiore a Pieve di Trebbio ed ora ritornava verso casa, perché aveva saputo che i soldati tedeschi stavano facendo un rastrellamento di quella parte del territorio per chiudere l’accerchiamento di tutto il territorio comunale e prendere nella rete tutti i presunti fuggiaschi e renitenti alla leva.
In canonica l’hanno rinchiuso assieme al padre Contardo e ad amici del paese come Adriano, lì l’hanno malmenato e gli hanno rotto il setto nasale che ancora adesso gli rende nelle fattezze del viso un qualcosa da boxeur di altri tempi su un corpo da peso piuma leggero. Grazie all’intervento provvidenziale della sorella che faceva l’interprete ed aveva un considerevole carattere, quasi tutti i capifamiglia del paese furono liberati; mentre per i più giovani per il momento non riuscì fare nulla. A piedi furono portati alla Villa Martuzzi nel territorio di Campiglio appena sopra a Vignola dove continuarono con le angherie e interrogatori e lì molti furono fucilati, e seppelliti in una fossa, lui fu l’unico sopravvissuto.
Il giorno prima di Natale, mentre cadeva la neve sulle colline e le imbiancava come un grande lenzuolo e le sue impronte lasciavano la traccia da dove veniva ed era stato, è tornato a casa. Quando c’è la ricorrenza di quel tragico fatto che ha vissuto, da solo arriva nel piccolo piazzale con la macchina, la parcheggia e si incammina per andare nel retro del piccolo oratorio che al suo interno ha una parte dei resti di quei suoi sventurati compagni e riguarda nella penombra le loro vecchie foto in bianco e nero di un’epoca lontana risalente a un altro mondo che ricorda con il cuore in gola…
Ora certe volte a sera mia madre mi racconta che sente il suo respiro farsi affannoso e rantolare e poi fermarsi e dice che è dovuto alla deviazione dell’osso del naso che ha chiuso una parte delle cavità nasali e così ha delle lunghe e interminabili sospensioni del respiro come fosse un palombaro che trattiene il fiato per poter scendere sempre più in profondità nella notte dei mari e lei allora lentamente lo risveglia e lui ritorna a respirare. Dylan Thomas diceva al proprio padre:” Padre… non andartene docile in quella buona notte…infuriati, infuriati contro il morire della luce…infuriati…” Io come lui gli esclamo con tutto il mio cuore questo canto tutte le sere quando va a dormire e ho la prova che il giorno dopo vedendolo ha un suo effetto salvifico.
Lui immancabilmente alle 8 e 30 o le 9 della mattina appena arrivo è già lì che accende la stufa e si prepara il latte e un buon caffè e penso fra me che si è infuriato ben con forza contro la notte, siccome mi è qui di fronte più arzillo che mai. A metà mattina si mette il pastrano bello grosso e la cuffia, perché ora a fine gennaio fa ancora molto freddo per la sua veneranda età e parte alla volta della strada bianca che è di fronte a casa, va a trovare il fratello minore Domenico di due anni in meno di lui, un altro novantaquattrenne due volte vedovo. Gli porta una qualche lettera che il postino non avendolo trovato ha lasciato a lui. Chi meglio di lui ex portalettere ed ex direttore d’ufficio postale può avere questa incombenza?? Ormai è passata una eternità che non porta più lettere!
Verso la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta faceva il portalettere e con un piccolo motorino andava su e giù per queste colline boscose e a tratti brulle. Era molto ligio e professionale al lavoro, ci teneva ad essere sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad uscire, in più desiderava aiutare molte persone che avevano poca dimestichezza con lettere, pacchi e versamenti. Fu proprio grazie a questo lavoro che poté allargare il suo giro di conoscenze e conobbe una ragazza di nome Anna (dei miracoli aggiungo io…) che stava di fronte ai grandi e freddi sassi di Rocca Malatina che poi diverrà sua moglie e gli darà tre figli, due maschi ed una femmina. Ma anche quel lavoro di portalettere che ha amato a fondo si è concluso come molte cose di una vita molto lunga, a volte dice troppo lunga ed è tempo di finirla esclama con fare da attore consumato.
Ora va molto più lento d’allora, cinquant’anni fanno la differenza, per di più vent’anni fa ha avuto un inizio di infarto e gli hanno dovuto fare un intervento a cuore aperto e poi dopo dieci anni mettergli un pacemaker per aiutare il cuore che ha iniziato a sfarfallare un po’ troppo. Le gambe si fanno pesanti a fare un po’ della salita che lo separa dalla grande casa della madre. Farà altri dieci metri, ed oltre il cortile arriverà a una casina più piccola che lui tanto tempo fa fece quasi tutta da solo per darla al fratello; che ora a sua volta la sta allargando con le sue stesse forze come fece lui allora senza vederci una fine.
Entrambi sentono ancora che hanno qualcosa da fare su questo mondo.
Hanno visto tanto della vita e di questo mondo, ma standosene rigorosamente sempre ai margini. Lui poi di più senza clamori e cercando anche di non farsi quasi mai fotografare, tanto che in certe occasioni festose a volte era capace d’istinto di dare apposta le spalle per non lasciarsi rubare l’anima come pensavano i pellerossa. Ed è per questo che quasi non ci sono sue foto se non quelle della patente e poco altro nei cassetti, ed io figlio, allora ho cercato di cogliere in pochi tratti incisi con il fuoco sulla pelle animale le sue sembianze attuali prima del fatidico addio che tutto fa sparire ed ingloba.
…infuriati, infuriati padre…non andartene docile in quella buona notte…ribellati contro il morire della luce…
Daniele Cabri
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