MODIFICAZIONI DEL TERRITORIO

C’erano centinaia e centinaia di ettari da bonificare, tanto da lavorare per tutti quelli che se ne fossero voluti occupare.

Era particolarmente richiesta gente con esperienza, ma anche di migliaia di faticatori vi era bisogno.

Grandi titoli sui giornali per questa nuova impresa del regime.

Pacifico era appena tornato dall’Africa, era stato in Etiopia a costruire strade con una impresa anglo-piemontese, il suo primo lavoro.

Là non poteva tornare, si era preso la malaria e lo avevano rimandato a casa prima della scadenza del contratto, con una buona indennità di malattia ed ottime referenze.

Era un altro mondo quello, molto diverso da Vespolate – Novara, Piemonte – dove aveva finito le scuole tecniche solo qualche anno prima con il diploma da geometra. Non aveva perso tempo quando aveva saputo di quella offerta di lavoro, la paga era troppo alta, tutto il resto sicuramente non poi così brutto.

Ci era stato quasi due anni e di questi più di tutti si ricordava il giorno in cui, presa a lungo la mira con il sole che gli continuava ad entrare negli occhi, aveva ucciso un ghepardo che riposava sopra un albero, come cadeva a terra lentamente, magro, con quei colori chiari polverosi.

E quegli altri giorni di baldoria con le indigene, insieme ai compagni di lavoro, belle ragazze davvero, si stava bene con loro, alcuni degli amici continuavano a giurare che non sarebbero più tornati.

Ed ora si trasferiva nelle paludi, aveva deciso, anche quella era una attività ben pagata e di quel genere che non gli dispiaceva e che ormai conosceva, modificazioni del territorio.

Si trattava della zona a sud del delta del Po, si sarebbe fermato più vicino a casa questa volta, sarebbe rimasto in Italia, si poteva tornare dalla famiglia con una giornata di treno, se partivi la mattina molto presto presto, la sera potevi essere a mangiare sulla tavola di casa.

Dieci giorni dopo era già al lavoro sul posto, nella zona dell’entroterra di Comacchio, anche quei luoghi erano molto diversi dalla campagna piemontese, umidi questa volta e con la nebbia al posto del sole continuo.

Le città più vicine, a qualche decina di chilometri, lungo le strade dritte, erano Ferrara e Ravenna, ci sarebbe andato prima o poi, ma per ora non si era ancora mosso dai piccoli paesi dove avevano i loro alloggi, altri ne stavano ancora costruendo, nuova manodopera continuava ad arrivare, in gran parte dalle zone limitrofe.

Era tanta acqua salina e qualche anguilla, entrambe da eliminare, o almeno da ridurre, lì per questo lui e gli altri, i primi progetti erano già all’inizio della fase esecutiva, tra poco sarebbero cominciate ad emergere le prime terre agricole strappate alla melma.

Aveva fatto un paio di puntate vicino all’Adriatico, c’erano enormi spiagge con chilometri di pineta dietro, piene di zanzare, il mare era bellissimo.

L’unico paese su quel tratto di costa si chiamava Magnavacca, molti dei pescatori che vi abitavano lavoravano alla bonifica per il periodo invernale.

Quello delineato sopra era mio nonno Pacifico Jamoni a circa vent’anni – era il più piccolo di sei fratelli, la famiglia aveva una piccola riseria nel novarese – poi si sarebbe sposato con una cugina – lui molto bello e lei molto bella – si sarebbe fermato a lavorare in provincia di Ferrara, sarebbe diventato podestà del piccolo paese di Massa Fiscaglia – tranquillo, dopo la guerra nessun problema, nessuno, pure nella zona molto calda, aveva motivi per cui scontrarsi – avrebbe avuto due figlie, sarebbe partito militare, capitano in artiglieria, in Sicilia durante lo sbarco alleato, avrebbe ripreso a lavorare al consorzio di bonifica, avrebbe intanto costruito la abitazione nella quale la famiglia si sarebbe trasferita, a Ferrara, avrebbe gestito i beni della dote della moglie comprando alcuni immobili, le due figlie sarebbero andate all’università, si sarebbero spostate, sarebbe diventato nonno, sarebbe andato in pensione, curando il giardino poi, con la moglie, i nipoti.

Tutto questo in ottant’anni dal 1901, tante modificazioni, come tutti in una vita, alcune usuali, altre determinate dalla storia ed altre dalle scelte precedenti, insomma nulla di rimarchevole se non per chi ne volesse ad ogni costo creare spunti di scrittura o per un familiare racconto orale.

Per me è categorizzato nel gruppo nonni, insieme a Paolo, anche per lui una sequenza interessante, più internazionale ad avventurosa, ma nella sostanza analoga, entrambe erano belle figure, il loro tempo era diverso, erano diversi da me, me ne accorgevo, erano seri, solidi, agivano con tranquillità nel modo in cui c’era da comportarsi. Se ne sono andati relativamente integri, non troppo colpiti dagli anni, tra poco proprio nessuno saprà nulla di loro.

Paolo Pizzo