Natale: non una data, ma il nome, tenutomi nascosto, di zio materno mai conosciuto.
Di lui si diceva che amasse le donne e le auto di lusso – un peccato quasi perdonabile a chi fosse cresciuto tra i film americani in bianco e nero dell’immediato dopoguerra proiettati nel Cinema di famiglia. E che, troppo generoso con gli amici, avesse dilapidato con loro i beni di casa, cinema compreso, tanto da esserne stato cacciato.
Solo da poco ho incontrato Natale, seppiato nel fondo di una fotografia, a sua volta tenuta nascosta per anni nel fondo di un cassetto. Così decretò la famiglia: sepolto in effige dai suoi stessi sbagli, ben prima del suo funerale.
Natale è vestito a festa, giacca e cravatta e fazzoletto nel taschino. La testa leggermente sollevata all’indietro, una mano mollemente appoggiata sui fianchi, una postura da personaggio di leggenda monferrina, in sofferente esilio ma non del tutto vinto.
È un autoscatto – arrivo a pensare, e l’immagine, sfocata in primo piano dall’obiettivo appoggiato sul muretto, conferma quel senso amaro di solitudine coatta, denunciata e tradotta, non si sa a quale fine, in questo documento di autoesclusione.
Claudio Zoccola
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