VOLIANO VOLIANI (Livorno, 1894 – Rosignano Solvay, 1970)
I genitori di mio nonno materno, Adria Suggi e Alfredo Voliani, forse ebbero un momento di scanzonata ilarità quando chiamarono il secondogenito Voliano. Certamente furono ligi alla tradizione anarchica livornese secondo la quale ai nati non si dovevano imporre nomi di santi o nomi clericali in genere. Il primogenito infatti si chiamava Otello.
Voliano, ragazzo sveglio e intelligente si iscrisse all’Accademia Navale e non senza sacrifici per la mole dello studio e soprattutto per le regole severe della vita in comune, riuscì ad arrivare all’ultimo anno. Quando, in libera uscita, girava per le strade del quartiere Venezia di Livorno, era ammirato da tutte le ragazze sia per la divisa blu, sia perché girava in carrozza, lusso che la famiglia poteva permettersi con i guadagni del negozio di alimentari.
Di una giovane in particolare aveva attirato l’attenzione, Giuseppina, detta Beppina che tanto fece e tanto brigò anche con la complicità del fratello Otello, fino a conoscerlo di persona.
L’amore non tardò a scoppiare e non tardò a scoppiare anche il “caratterino” della focosa Beppina che impose a Voliano la scelta fra lei e la carriera. “O me o la Marina” fu l’ultimatum.
Voliano capitolò e abbandonò per amore la vita sul mare; invece di solcare le onde solcò enormi quantità di fogli bianchi racchiuso nel grigiore di uno studio commerciale nella Garfagnana.
La rinuncia non fu poi tale perché Voliano e Beppina si amarono tantissimo in tutti i lunghi anni della loro unione dalla quale nacquero tre figli: Ilva, Venio e Ivano: tre nomi rigorosamente anarchici.
Voliano si trasferì a Rosignano Solvay nel 1928 in cerca di un nuovo lavoro che infatti ottenne subito all’interno della fabbrica chimica Solvay, fabbrica da poco insediatasi sulle coste toscane a sud di Livorno.
La vita scorreva tranquilla nella casa sotto ai pini, Beppina si occupava con amore della casa e dei figli, Voliano, nel dopoguerra, svolgeva intensa attività politica nel Partito Socialista.
Comizi, riunioni, dibattiti accalorati e infervorati in favore dei lavoratori, la sua casa sempre aperta a chi avesse bisogno di aiuto e chi avesse fame.
Se al posto della Madonna, sopra il letto aveva posto un’immagine di Nenni, ciò non escludeva affatto che si comportasse da buon cattolico più di tanti “baciapile”, come li definiva lui, ma guai a farglielo notare!
Ricordo con amore e tenerezza il suo incedere un po’ traballante, i capelli bianchi come nuvola, i gesti pieni di passione politica e umana, la dedizione con la quale mi spiegava l’algebra e i logaritmi che io non volevo imparare perché mi stavano antipatici.
È stato un uomo “per gli altri” e “con gli altri”, al suo funerale il feretro fu collocato sopra un carro tirato da due cavalli col pennacchio e fu seguito da uno sventolare di bandiere rosse, mentre tutti i negozi del paese abbassavano le serrande e lo salutavano commossi e riconoscenti per quanto aveva fatto e dato ai suoi concittadini.
Nicoletta Benocci
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